giovedì 14 giugno 2012

Un nuovo intervento di una lettrice. Questioni politico-culturali e questioni organizzative

Per evitare equivoci, chiarisco subito la mia collocazione e il mio punto di vista:
1) Mi onoro di essere membro del Partito dei comunisti italiani, ma sono ovviamente consapevole che diverse possono essere e sono le collocazioni dei comunisti e che il dibattito sull'unità dei comunisti è in pieno svolgimento.
2) A tale dibattito mi sento in grado di dare un contributo soprattutto in quanto intellettuale. Tre mi sembrano i più rilevanti nodi teorici e politici, che qui per brevità formulo con tre domande retoriche:
a) dobbiamo continuare a subire in modo passivo e codista l'infangamento e la liquidazione della storia del movimento comunista?
b) vogliamo o no reagire alla campagna con cui l'imperialismo cerca di screditare e isolare la Repubblica popolare cinese?
c) siamo in grado di contrastare i bombardamenti multimediali e l'industria della disinformazione e dell'indignazione con cui oggi più che mai vengono preparate le più infami guerre coloniali e neo-coloniali?
E' chiaro il nesso tra le tre questioni: la disinformazione investe il passato oltre che il presente; la diffamazione del grande paese asiatico, che è guidato da un Partito comunista e che col suo prodigioso sviluppo (economico e culturale) mette fine al «secolo di umiliazioni» imposto dall'imperialismo, serve da un lato a screditare ulteriormente il comunismo, dall'altro a indebolire il fronte anti-imperialista e anti-colonialista. 
Stimolando il dibattito e facendo chiarezza su tutto ciò, questo blog può contribuire all'unità dei comunisti e all'unità della lotta: in questo senso andava l'invito ai lettori che avevo premesso all'intervento di Scotuzzi e che ribadisco. Prego però i lettori di affrontare tale problematica sul piano politico-culturale e non su quello strettamente organizzativo. Un tema, questo, per il quale ci sono di altre sedi o si possono approntare altri strumenti.
DL


Il Partito Comunista Italiano che verrà
Rachele Marmetti

Era ora! Benvenga l’appello alla fondazione del Partito Comunista Italiano! Fondazione, non ri-fondazione.
È indispensabile partire nella chiarezza, con comprovata estraneità alle porcherie del regime, con proclamata adesione al comunismo delle origini, senza sospetti di contiguità con quella sedicente sinistra il cui massimo impegno consiste nel mendicare qualche lampo di visibilità su Raiset (Rai e Mediaset) o nell’accodarsi, cum sportula, a ritirare provvidenze, premio per un’innocua opposizione, prona sino alla connivenza con nuove guerre coloniali.
Credo che questo sito, per il livello culturale, il rigore accademico, la coerenza politica e la massima libertà di espressione, sia il punto di riferimento adatto.
Ma come si fonda un partito comunista e dunque antagonista, in uno Stato che, umiliato di fatto dal dopoguerra a provincia dell’impero Usa, negli ultimi decenni ha venduto l’anima a un despota televisivo e la libertà a un comitato d’affari (Commissione Europea)?
Dobbiamo far leva sulle sole forze che abbiamo e sull’immenso potenziale che ci viene dalla forza delle nostre idee. Aspiriamo a essere gli alfieri di quei valori morali e universali che ormai siamo rimasti in pochi ad affermare. Li hanno abiurati i partiti che molti decenni fa guidarono al riscatto le masse subalterne; ne hanno fatto apostasia le Chiese occidentali, che predicano una miscela di teologia della subordinazione (per i poveri) e di una teologia della dominazione (per i ricchi); ne hanno fatto scempio schiere di intellettuali prostituiti al liberalismo, regredito fino a incarnarne l’aspetto peggiore, ben illustrato da Losurdo nella sua Controstoria del liberalismo: il trionfo della libertà di schiavizzare.
Questi nostri ideali dobbiamo enunciarli in cima alla nostra Carta di fondazione. Nella loro interezza, senza timore né esitazioni, con tutta la forza necessaria a suscitare entusiasmi nei giovani e re-suscitarne nei maturi. Ideali di fratellanza; di solidarietà; di libertà dal bisogno, condizione di ogni altra libertà; di uguaglianza nei diritti fondamentali; di giustizia sociale; di lotta senza quartiere al dolore, ovunque si annidi e quale ne sia la causa.
Condizione imprescindibile per la realizzazione di questi nostri ideali è la rimozione  del morbo che ormai ha intaccato gli organi vitali del corpo sociale: bisogna togliere di mezzo il monopolio mediatico che trova la sua più letale cancrena in Berlusconi; bisogna ripristinare regole e strumenti che consentano una democrazia autentica; bisogna reinsediare l’esito di questa democrazia, cioè lo Stato, al posto che la Costituzione della Repubblica gli riserva: di esecutore della volontà espressa dal popolo; bisogna restituire a questo Stato il potere di governare: libertà d’azione economica e politica, che in campo internazionale richiede anche l’indipendenza militare.
Mi rendo conto di quanto oggi un lessico simile possa risultare incomprensibile, o addirittura ridicolo, a un popolo impoverito, nelle parole e nei pensieri, dalla propaganda dominante, ma, se sapremo essere docenti bravi e pazienti e, soprattutto, se sapremo dotarci di strumenti adeguati, potremo trasmettere idee che, qualche decennio fa, il defunto Partito Comunista Italiano diffondeva sintetizzandole in slogan come: Fuori l’Italia dalla Nato. Non poteva aggiungere: Fuori l’Italia dall’Europa, perché l’Europa all’epoca era solo un’idea vaga di confederazione di Stati liberi. Ma oggi possiamo farlo noi: Fuori l’Italia da questa Europa, dominata dalla versione aggiornata degli “schiavisti liberali” descritti da Losurdo.
Obiettivi impegnativi ma, ribadisco, i soli in grado di suscitare tensioni ideali potenziali e di risvegliare quelle sopite. Obiettivi la cui proclamazione, ancor prima della loro realizzazione, richiede un’organizzazione formidabile. Perché si tratta di scatenare un’offensiva di informazione e di formazione contro un esercito di manipolazione mediatica quale mai conosciuto. Ed è una guerra che devono combattere in prima linea gli intellettuali. Docenti, scrittori, giornalisti, studenti, editori, avvocati (a tutela degli spazi di libertà, ma non solo); e poi schiere di militanti acculturati e professionalmente coerenti, in ogni campo: il medico al servizio della sanità pubblica, il magistrato prono esclusivamente alla Legge, l’operaio che aderisce a un sindacato con orizzonti non delimitati da quelli della categoria che difende, ogni cittadino che adotti uno stile di vita coerente con le aspirazioni comuniste: dirittura morale, abiura del consumismo deteriore, cura di ciò che di più prezioso possiede, la propria autonomia intellettuale.
Quanti ne troveremo così? Pochi. Ma questo sito, potente stimolo allo studio della storia, docet che le rivoluzioni gonfiate da masse che valgono poco perché mosse da idee che valgono niente poi si spengono subito o fanno il gioco del nemico. La rivoluzione potrà essere solo miracolo da pionieri. Ne bastano pochi, se buoni. Il primo Manifesto del partito comunista lo scrissero in due…

1 commento:

Anonimo ha detto...

A mio parere il grosso problema è che ci troviamo davanti ad un'esigenza politica forte: quella di un Partito Comunista che osi proporre la prospettiva della transizione al socialismo in maniera credibile (perchè in questa fase può essere credibile), e nello stesso tempo subiamo la mancanza di un ceto politico adeguato che sappia cogliere questa esigenza, irrimediabilmente perso, prigioniero del piccolo cabotaggio elettorale e del "cretinismo" parlamentare-governativo. I "tre punti" che la compagna pone all'attenzione non sono che parte di questo problema.

A. Peruzzi