di Domenico
di Iasio
Luciano Canfora, nella sua recensione
a La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra (Carocci
2014) di Domenico Losurdo, fa bene a rilevare che «sarebbe molto più utile
proporsi di comprendere quale inedita formazione economico-sociale e politica
sia nata sotto i nostri occhi in quello che oggi è il punto nevralgico del
pianeta» (“Corriere della Sera”, 3-11-2014), cioè la Cina. E, a mio avviso, La sinistra assente dà un contributo notevole alla comprensione di tale
“inedita formazione economico-sociale e politica”, quando interpreta l’attuale
fase di sviluppo cinese come la seconda fase della lotta anticoloniale, estesa
a tutti i paesi dell’ex-Terzo Mondo. Alla “guerra di popolo” contro le potenze
coloniali occidentali si sostituisce oggi una radicale politica di sviluppo
economico e tecnologico per sfuggire alla morsa del sottosviluppo costruita da
tali potenze. La parola d’ordine di Deng Xiaoping “Arricchirsi è glorioso”,
ripresa da Nikolai Bucharin, risponde
all’esigenza primaria di fuoriuscire dalle secche del sottosviluppo. Jiang
Zemin, nel Rapporto del Partito comunista Cinese del 1997, precisa:«Istituiremo
e perfezioneremo un’economia socialista di mercato, un sistema politico di
democrazia socialista», perché «il compito essenziale del socialismo è lo
sviluppo delle forze produttive», desumendo questo concetto, a mio avviso,
dalla Critica del Programma di Gotha
(1875) di Marx, dove la transizione alla fase più elevata della società
comunista è ravvisata nello «sviluppo degli individui e delle forze produttive
(Produktivkräfte)». Insomma, il PCC è
orientato a costruire, leggiamo sempre nel Rapporto del 1997, «una società in
cui tutta la popolazione vive in modo agiato».
Oggi i reporters occidentali non fanno altro
che sottolineare il fatto delle disuguaglianze acute del “ socialismo di
mercato”. Giampaolo Visetti, ad esempio,
in suo reportage riconosce che la
Cina attualmente è la «prima economia del mondo» rispetto al tasso di crescita,
ma contestualmente sottolinea le contraddizioni di tale economia, affetta da
stridenti disuguaglianze: «nei villaggi rurali si guadagnano mille euro
all’anno, un terzo rispetto al reddito nelle città, 26 volte meno della media
Usa» («la Repubblica», 1-05-2014). Questa cantilena delle stridenti
disuguaglianze cinesi è presente anche in lavori più strutturati, come, ad
esempio, nel libro di Daron Acemoglu e James A. Robinson (Why Nations Fail, London 2013, p. 441):«Il reddito pro capite in Cina tuttora è una
frazione di quello degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale».
In una
riflessione sulla Cina Cesare Imbriani (Etica
e Finanza ai tempi del colera. Riflettere su Cina, liberismo e liberalismo,
in Princìpi di economia solidale,
PensaMultimedia, Lecce-Brescia 2013), cita Croce, per il quale «alcuni
programmi comunistici possono essere trasformati nella storia in una proposta
liberale». L’economista de “La Sapienza” conclude con questa domanda:
«l’economia di mercato della attuale globalizzazione con al suo interno un
attore fondamentale quale è l’economia
cinese, non potrebbe essere lo studio di caso di una trasformazione liberale
del programma comunistico?». Si tratta ovviamente di una domanda legittima,
foriera di riflessioni e fecondi dibattiti. Imbriani include il sistema
economico cinese nella globalizzazione neoliberistica, di cui è parte
integrante. Ma, a mio avviso, nel sistema economico e politico cinese c’è
qualcos’altro che l’intellettuale occidentale non cattura facilmente. E questo
“qualcos’altro” è costituito dalle finalità che sottendono il sistema stesso.
E quali sono
queste finalità, non finte ma reali? È stato già detto: costruire «una società
in cui tutta la popolazione vive in modo agiato». Invece, la natura del
capitalismo, sottolinea con forza Emanuele Severino, consiste nel «perpetuare
la scarsità» ( Il declino del capitalismo,
Rizzoli, Milano 2007, p. 81), nell’organizzarla continuamente tenendo alti i
prezzi delle merci per spostare maggiori profitti dalla parte di chi già
detiene la ricchezza. Pertanto, nel contesto capitalistico le disuguaglianze
sono strutturali e sempre più profonde. In Cina, invece, le disuguaglianze sono
state il prodotto più genuino della colonizzazione giapponese e occidentale.
Nei villaggi rurali cinesi a metà Novecento, ma anche per tutto il periodo
della Rivoluzione culturale maoista, si moriva di fame. I contadini non
potevano mangiare nemmeno una volta al giorno. Ora, invece, anche con un
reddito minimo di “mille euro all’anno”, come dice Giampaolo Visetti, la gente
mangia almeno una volta al giorno, secondo le testimonianze di molti
osservatori e perfino turisti. Si calcola che più di 600 milioni di poveri
cinesi siano usciti dalla miseria estrema, cioè possono mangiare almeno una
volta al giorno. Ed è questo il dato di fondo che gli intellettuali occidentali
stentano a comprendere. In Italia oggi siamo si e no 60 milioni di abitanti,
una piccola provincia per la Cina. Eppure, in questa piccola provincia la
popolazione comincia ad impoverirsi sempre di più. In Cina la tendenza è
progressiva, verso un livello di vita sempre più agiato, in Italia, al
contrario, ma anche in alcune altre regioni europee, la tendenza è regressiva,
si marcia all’indietro, verso il basso e la miseria di massa. Sarebbe
interessante parlare di tutto ciò in dibattiti pubblici aperti, dove si possono
approfondire certi temi che in un semplice articolo, come questo, rimangono
necessariamente nell’ombra, come, ad esempio, il tema ecologico. Un solo rilievo
rispetto a tale questione, evidenziato peraltro da un’economista britannica
dell’Università del Sussex, Mariana Mazzucato:«Il visionario e ambizioso XII
piano quinquennale cinese (2011-2015) punta a investire 1.500 miliardi di
dollari (il 5 per cento del PIL) in una serie di settori: tecnologie per il
risparmio energetico e l’ambiente, biotecnologie, informatica di nuova
generazione, manifatturiero avanzato, nuovi materiali, combustibili alternativi
e auto elettriche […] la strategia di “sviluppo verde” (“green development”) della Cina sta ridefinendo il concetto di
sviluppo economico “ottimale”» (Lo Stato
Innovatore, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 174-5). E tutto ciò, avverte
sempre la Mazzucato, in un momento in cui i finanziamenti “verdi” britannici,
ma in generale occidentali, diventano sempre più deboli e discontinui. In
Italia poi sono attualmente inesistenti. Ciò nonostante, la macchina informativa
occidentale presenta la Cina come il paese dell’inquinamento supremo e del
disinteresse totale per tale questione. Si tratta chiaramente di una
manipolazione e su ciò La sinistra
assente dice anche molto, dopo Guy Debord e Manuel Castells. La società dello
spettacolo falsifica tutto e scambia intenzionalmente il falso per vero,
annebbiando le menti anche degli intellettuali e rimuovendo verità evidenti
come, ad esempio, il fatto che gli USA non hanno mai ratificato il protocollo
di Kyoto per la riduzione dei gas serra, a differenza della Cina che figura tra
le 186 nazioni firmatarie. Solo recentemente gli USA a Pechino, nel corso del
Forum Apec, hanno firmato un accordo con la Cina per la riduzione dei gas serra
estesa fino al 2030.
Certamente la Cina non costituisce un modello per l’Occidente, come non lo era l’URSS di ieri. Qui si tratta di capire, non di costruire modelli. Ci sono contraddizioni palesi nella società cinese, come i dati di fatto delle disuguaglianze e dell’ecologia. Ma tali questioni esistono anche da noi e senza prospettive concrete di soluzione. Se, come sottolinea Colin Crouch, «le nostre società stanno diventando […] sempre più inique» ( Quanto capitalismo può sopportare la società, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 5), possiamo dire che la società cinese come quelle dell’intero ex-Terzo Mondo, al contrario, stanno diventando sempre “meno inique” e progressive. Evidentemente qui la sinistra è più presente e meno confusa che in Italia e in Occidente. C’è bisogno di una sinistra di questo tipo, “nell’era del cambiamento”, come recita il sottotitolo dell’ultimo libro di Franco Cassano (Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento, Laterza, Roma-Bari 2014). La sinistra non ha esaurito il suo compito, non può in Occidente starsene in disparte, lasciare le cose così come sono, incancrenite. Ha bisogno di un nuovo volto e per acquisirlo, qui Losurdo ha ragione, deve aprirsi e non chiudersi alle lotte reali, alle lotte di chi soffre, perde il posto di lavoro e rischia di non mangiare nemmeno una volta al giorno.
Certamente la Cina non costituisce un modello per l’Occidente, come non lo era l’URSS di ieri. Qui si tratta di capire, non di costruire modelli. Ci sono contraddizioni palesi nella società cinese, come i dati di fatto delle disuguaglianze e dell’ecologia. Ma tali questioni esistono anche da noi e senza prospettive concrete di soluzione. Se, come sottolinea Colin Crouch, «le nostre società stanno diventando […] sempre più inique» ( Quanto capitalismo può sopportare la società, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 5), possiamo dire che la società cinese come quelle dell’intero ex-Terzo Mondo, al contrario, stanno diventando sempre “meno inique” e progressive. Evidentemente qui la sinistra è più presente e meno confusa che in Italia e in Occidente. C’è bisogno di una sinistra di questo tipo, “nell’era del cambiamento”, come recita il sottotitolo dell’ultimo libro di Franco Cassano (Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento, Laterza, Roma-Bari 2014). La sinistra non ha esaurito il suo compito, non può in Occidente starsene in disparte, lasciare le cose così come sono, incancrenite. Ha bisogno di un nuovo volto e per acquisirlo, qui Losurdo ha ragione, deve aprirsi e non chiudersi alle lotte reali, alle lotte di chi soffre, perde il posto di lavoro e rischia di non mangiare nemmeno una volta al giorno.
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