giovedì 6 dicembre 2012

Oscar Niemeyer, architetto e comunista

Il ricordo di Giovanni Semeraro (Universidade Federal Fluminense, Niterói, Rio de Janeiro)

 
Oscar Niemeyer nel suo studio di Copacabana con Giovanni Semeraro e Domenico Losurdo

Niterói, 7 dicembre 2012

Caro Domenico,
avrai sicuramente saputo della partenza del tuo amico Niemeyer.
Proprio ieri, mentre la notizia della sua morte percorreva il Brasile e il mondo, ho ricordato con emozione e una punta di orgoglio ai miei studenti, stupefatti e increduli, quel giorno nel quale Oscar ti ricevette la prima volta nella sua residenza/studio di Copacabana, assieme a me, all’architetto Alfonso Accorsi, a Waldeck Carneiro (allora preside della nostra Facoltà) e a Cecilia Goulart (coordinatrice dei corsi di master e dottorato).

Tra tante indimenticabili impressioni, rimasi particolarmente colpito dall’accoglienza che ti fece, quasi fossi un amico di lunga data, e dall’interesse giovanile che manifestava per le tue ricerche, i tuoi libri, per quello che pensavi della Cina e degli USA, dell’Italia e dell’Europa e soprattutto della filosofia. Ricordi come reagì quando gli dicesti che Schopenhauer aveva del reazionario? Il giorno dopo venne a sentire le tue lezioni nella nostra Università Federale Fluminense di Niterói: un lusso riservato a pochi! Come sai, la grandezza di un genio si misura anche dalla sua umiltà. Dal senso dei propri limiti, da quella "concezione realista della vita" – come gli piaceva dire – "che ci porta ad avere coscienza della fragilità delle cose e ci fa diventare più semplici ed umani, impedendoci di attaccarci morbosamente ad esse”.

Paradossalmente, proprio da questa coscienza è scaturita un’opera prodigiosa; un'opera che farà parlare di se "anche durante il XXX secolo", come ha detto l’antropologo brasiliano Darcy Ribeiro. Sull’immane e sorprendente produzione di Niemeyer si può dire tutto quello che si vuole, ma rimane il fatto che ha sconvolto i canoni dell’arte e dell’architettura e ha ispirato uno stuolo di artisti contemporanei. A giusta ragione, Niemeyer viene chiamato il “poeta delle curve”, secondo una definizione che lui stesso ha brillantemente delineato: "O que me atrai é a curva livre e sensual. A curva que encontro nas montanhas do meu país, no curso sinuoso dos seus rios, nas nuvens do céu, no corpo da mulher preferida. De curvas é feito todo o universo. O universo curvo de Einstein”.

Ma oltre all’uso meravoglioso che ha fatto delle curve, delle forme lievi e trasparenti, librate nell’aria quasi a volare, al di là dell’inventiva, della sorpresa e dell’inedito che si trovano nelle sue centinaia opere sparse nel mondo, credo che uno degli aspetti più significativi delle sue creazioni sia stato la capacità di pensare i monumenti, gli edifici e la città come spazio pubblico. Come opere integrate nell’ambiente, aperte alle espressioni culturali e politiche del popolo: quasi un invito a far esprimere a ciascuno il suo spirito creativo e conviviale. Luoghi nei quali, come lui stesso diceva, "l’uomo comune e senza potere", tutta la popolazione, potesse riconoscersi e sentirsi a proprio agio e potesse avere la percezione di appartenere a una creazione comune, a un mondo libero e di uguali. Senza proibizioni, senza gerarchie, senza segreti, senza armi, superando ogni distanza e senza sentirsi schiacciati dall’imponenza e dall'arroganza delle costruzioni dei signori e dei centri di potere. Per questo l’architettura di Niemeyer non può essere separata dal grande uomo politico che egli è stato. Dopo la costruzione di Brasilia, di fatto, non si stancava mai di dire che “non basta fare una città moderna: è più importante cambiare la società”.
In un’intervista rilasciata a Brasil de fato nel settembre di 2005, pur senza accodarsi al coro dei detrattori, non ha risparmiato le sue critiche a Lula, lamentando come questi si limitasse a “migliorare il capitalismo” e non fosse determinato come Chavez. “Se io fossi giovane", diceva, "invece di fare architettura scenderei sulle strade a protestare contro questo mondo di merda in cui viviamo”. Un po`come te, perciò, credo che la genialità di Niemeyer abbia tratto non poche ispirazioni dalle sue convinzioni politiche, dal fatto di essere stato un comunista autentico, tutto di un pezzo, senza tentennamenti e scalfitture.
A questo proposito, rammento un episodio divertente e significativo, e te lo faccio raccontare da lui stesso:

“Ricordo la notte in cui Fidel venne nel mio studio. Invitai gli amici e, a mezzanotte, quando se ne andò, l’ascensore non funzionava. Per prendere l’altro ascensore dovette passare dall’appartamento del vicino, che ancora oggi racconta l’episodio con un certo orgoglio. Vi lascio immaginare lo spavento della coppia quando aprì la porta e si vide faccia a faccia con Fidel... L’unico comunista che abita nel palazzo sono io, ma quando Fidel uscì, tutto l’edificio era illuminato e la gente applaudiva”.

Ieri, con un gesto simbolico, lo hanno portato in aereo a Brasilia, come a fargli dare l’ultimo addio alla sua più visibile creatura, oggi patrimonio universale dell'Unesco. E poi di nuovo a Rio, la sua terra natale, consegnato all’abbraccio degli amici, della bossanova, del samba, della gente mesta ed effusiva, degli artisti, dei politici, dei giovani, delle donne che ha sempre amato.
I grandi media, naturalmente, ha fatto un gran parlare della sua genialità, della risonanza mondiale delle sue opere, della sua operosità e longevità, della sua generosità e solidarietà. Ma poco hanno detto delle sue convinzioni politiche, del suo comunismo, dell’esilio, della sua resistenza alla dittatura, della condanna implacabile del capitalismo, del suo programma di vita riassunto nella frase “finché nel mondo ci sarà ingiustizia e disuguglianza, io sarò un comunista”.
Niemeyer lo ha fatto lucidamente fino a 104 anni. Adesso tocca a noi raggiungere questo traguardo e andare oltre. L’hanno prossimo, quando verrai in Brasile, cercherò di convincerti a tenere una conferenza all’Università di Mato Grosso, alle porte dell’Amazzonia. Da lì potremmo fare scalo a Brasilia, città di mia moglie e di Niemeyer.
Ti saluto con una bella vignetta di Amarildo sul giornale O Globo di oggi:
Giovanni Semeraro




Versione francese
(traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizi)

La grandeur d’un génie : Hommage à Oscar Niemeyer

Cher Domenico,

Tu as dû certainement apprendre le départ de ton ami Niemeyer. Hier précisément, alors que la nouvelle de sa mort parcourait le Brésil et le monde, j’ai rappelé avec émotion et une pointe de fierté à mes étudiants, stupéfaits et incrédules, ce jour où Oscar te reçut pour la première fois dans sa résidence-atelier de Copacabana, avec moi et l’architecte Alfonso Accorsi, Waldeck Carneiro (alors président de notre faculté) et Cecilia Goulart (coordinatrice des cours de master et de doctorat).
Parmi les nombreuses inoubliables impressions, je restai particulièrement touché par l’accueil qu’il te fit, comme s’il était un ami de longue date, et par l’intérêt juvénile qu’il manifestait pour tes recherches, tes livres, pour ce que tu pensais de la Chine et des Usa, de l'Italie et de l’Europe et surtout de la philosophie...
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