mercoledì 22 dicembre 2010

Domenico Losurdo risponde ad alcuni lettori 4

Arianna ha detto... 14 dicembre 2010 12:55
Egregio prof Losurdo, sono una compagna comunista che ha sempre seguito i tuoi lavori.
Per curiosità, sfogliando il sito bordighiano CHE FARE mi sono imbattuta nel seguente articolo sulla Cina: http://www.che-fare.org/archivcf/cf64/compromesso%20maoista%20e%20denghista.htm
Mi piacerebbe sapere da lei il suo punto di vista su quest'articolo.

DL: Gli elementi di continuità sono messi in evidenza anche dai bordighisti, per i quali però la Cina non ha mai seguito un orientamento socialista, neppure negli anni di Mao. E questo medesimo giudizio essi formulano a proposito dell’esperienza storica del «socialismo reale» nel suo complesso. Tutto è in ultima analisi «borghese». Questo modo di atteggiarsi non è affatto esclusivo della «sinistra». Come dimostro nel mio libro su Stalin, al momento dell’introduzione della Nep è tutta la grande stampa occidentale a celebrare il ritorno del capitalismo e il definitivo fallimento del programma di trasformazione socialista della Russia.
A sua volta Kautsky non attende la Nep per denunciare il carattere «borghese» della rivoluzione bolscevica. Per dimostrare questo riprendo una pagina delo mio «Stalin. Storia e critica di una leggenda nera»:

«Pochissimi mesi o poche settimane dopo l’ottobre 1917, senza perdere altro tempo, Kautsky sottolinea come i bolscevichi non mantengano o non siano in grado di mantenere nessuna delle promesse da loro agitate al momento della conquista del potere: «Già ora il governo dei Soviet si è visto costretto a diversi compromessi di fronte al capitale […] Ma più che davanti al capitale russo, la repubblica dei Soviet dovette indietreggiare davanti a quello tedesco e riconoscerne le pretese. E’ ancora incerto quando il capitale dell’Intesa tornerà a introdursi in Russia; tutto dà l’idea che la dittatura del proletariato abbia soltanto annientato il capitale russo, per cedere il posto a quelli tedesco e americano».
I bolscevichi erano giunti al potere promettendo «la propagazione, sotto l’impulso dell’esperienza russa, della rivoluzione nei paesi capitalistici». Ma che fine aveva fatto questa prospettiva «grandiosa e affascinante»? Ad essa era subentrato un programma di «pace immediata a tutti i costi». Siamo nel 1918 e, paradossalmente, la critica di Kautsky a Brest-Litovsk non è molto diversa da quella che abbiamo visto in particolare in Bucharin.
Al di là dei rapporti internazionali, ancora più catastrofico è, sempre agli occhi di Kautsky, il bilancio della rivoluzione d’ottobre sul piano più propriamente interno: «Spazzando via i resti del capitalismo essa ha espresso più puramente e più fortemente che non mai la forza della proprietà privata della terra. Essa ha fatto del contadino, finora interessato allo sfacelo della grande proprietà privata terriera, un energico difensore della proprietà privata creata di recente, e ha consolidato la proprietà privata dei mezzi di produzione e la produzione di merci». [pp. 105-6 del mio libro].

Non pochi saranno stupiti di questa convergenza dei bordighisti con Kaustky. Conviene allora rileggere (o leggere) Lenin: «colui che attende una rivoluzione sociale “pura”, non la vedrà mai» (LO XXII, 353).

1 commento:

Anonimo ha detto...

Egregio prof Losurdo,
una volta discutendo in chat con un mio amico comunista (anche io lo sono) parlavamo sulla Cina: lui l'ha attacca in quanto capitalista ed io la difendo in quanto socialista.
Come ultimo messaggio (questa volta tramite Facebook) mi ha scritto la seguente cosa:
"Fukujama si sbagliava, dato che a Cuba non c'è il capitalismo.
Ci sono elementi di capitalismo, certo, questo è inevitabile, ma prevale ancora la proprietà statale (anche se il ruolo dirigente del proletariato sull'economia è molto marginale). In Cina invece, nonostante il controllo statale sul credito, la maggior parte delle aziende è privata.
E il ruolo dirigente del proletariato è praticamente nullo"
Poi dopo mi ha scritto:
"Io dico che un operaio della Fiat comanda in fabbrica quanto un operaio della sede cinese della Honda.
Cioè niente.
A Cuba invece ci sono ancora comitati di fabbrica che applicano un minimo di gestione "dal basso" (solo nelle aziende ancora pubbliche, ovviamente, e comunque sempre meno) "
Mi piacerebbe sapere da lei (che la considero uno dei più grandi intellettuali marxisti di oggi) come gli potrei rispondere nel metodo e nel merito di ciò che il mio amico mi ha affermato.

DAVIDE