lunedì 19 gennaio 2009

Chi fa ricorso agli scudi umani: Hamas o Israele?

Versione francese

In questi giorni, nel tentativo di deviare l’indignazione dell’opinione pubblica per il massacro della popolazione civile perpetrato dai bombardamenti terroristici dell’aviazione israeliana, una campagna multimediale chiaramente pianificata da Tel Aviv martella in modo ossessivo questo motivo: sì, è vero, donne e bambini palestinesi vengono uccisi e martoriati in massa dalle bombe israeliane (e statunitensi), col ricorso anche ad armi vietate dalle convenzioni internazionali, ma è tutta colpa di… Hamas, che si serve di donne e bambini come di scudi umani.

Ma ecco cosa sull’«International Herald Tribune» del 22 giugno 2006 scriveva Haim Watzman, che in precedenza aveva militato nelle file dell’esercito di tel Aviv:

«Nove mesi fa la Corte Suprema di Israele ha vietato all’esercito israeliano di usare civili [palestinesi] come scudo umano allorché faceva irruzione nelle case per arrestare combattenti palestinesi. La scorsa settimana il quotidiano israeliano “Haaretz” ha riferito che la conseguenza di questa decisione è stata di collocare i civili palestinesi in una situazione di pericolo più grave: i soldati non entrano più nelle case per cercare i loro bersagli; l’esercito usa bulldozer per abbattere le case».

Dunque, da fonte insospettabile veniamo a sapere che a utilizzare quali scudi umani gli Untermenschen palestinesi sono proprio coloro che oggi pretendono di bollare come barbara la resistenza. Quando l’esercito di Tel Aviv dismette questa pratica, è solo per poter seppellire più rapidamente e senza distinzioni le sue vittime.

E, tuttavia, a giudicare dalla campagna multimediale in corso, non è lecito mettere in dubbio la verità ufficiale, in base alla quale a far ricorso alla pratica degli scudi umani possono essere solo i barbari di Hamas, e i palestinesi, gli arabi e gli islamici in genere, incapaci di comprendere il valore della vita umana.

Come spiegare il successo di questo stereotipo? Poche settimane dopo l’inizio dell’operazione Barbarossa, stupito dall’accanita resistenza incontrata in Unione Sovietica dall’esercito hitleriano, l’11 agosto 1941 Goebbels annota nel suo diario: «Per i russi la vita stessa gioca un ruolo assai subordinato, vale meno di una limonata. Essi perciò rinunciano alla vita senza un lamento. In gran parte si spiega così l’ottusa resistenza che i bolscevichi oppongono all’attacco tedesco». Sui grandi mezzi di “informazione” italiani e occidentali Gobbels celebra in questi giorni il suo trionfo postumo.

(Per una più ampia trattazione dei temi qui accennati rinvio al mio libro: «Il linguaggio dell’Impero», Laterza, 2009).

Domenico Losurdo

3 commenti:

Umland ha detto...

Salve professore,

lo stereotipo goebbelsiano in effetti continua a innervare la stessa storiografia sulla seconda guerra mondiale. C'è un libro dello storico Richard Overy, del King's College di Londra, intitolato la "Russia in guerra", 1997, Ed. Net, molto significativo perchè scritto come complemento di una serie televisiva diretta al pubblico britannico. E' un'opera non banale e non conformista dato che l'autore sostiene che la determinazione sovietica fu "il fattore più importante, anche se non l'unico" della disfatta tedesca. Eppure il disprezzo con cui l'autore parla dei russi in guerra è persino superiore a quello con cui parla dei nazisti. Non riesce a mezionare Zukhov senza menzionare la sua "brutalità" e la sua "rozzezza", benché dica che in trincea Zukhov leggeva poesie. E alcune retoriche concessioni all'eroismo dei sovietici sono completamente svuotate dai suoi continui riferimenti al basso valore che si dava alla vita dei soldati da parte dei comandi, per non dire del fatalismo dei soldati stessi.

Una domanda per lei professore: nel suo ultimo libro lei cita una ricerca della storica statunitense Knight, che smentirebbe la storia del "crollo psichico" di Stalin nei primi giorni dell'operazione Barbarossa. Dato che in bibliografia il libro porta la data del 1997, la stessa del libro di Overy, è possibile che quest'ultimo non conoscesse le scoperte della storica, e in ciò sarebbe giustificato per il fatto che anch'egli avalla la storia del "crollo". Ma lei cita anche il diario di Dimitrov, che rende una testimonianza del tutto diversa dalla "rivelazione" di Krushov. E' possibile che uno storico specialista come Overy non conosca il diario di Dimitrov, che presumo fosse stato pubblicato prima del 1997?

Con stima

Domenico Losurdo ha detto...

La Yale University ha pubblicato i Diari di Dimitrov nel 2000. Ma per uno storico non è un titolo di merito aver preso per oro colato le «rivelazioni» di Chruscëv. Doveva suscitare almeno qualche dubbio la tesi secondo cui Stalin avrebbe sconfitto Hitler studiando le battaglie sul «mappamondo»! Non meno avventurosa doveva suonare la tesi secondo cui Stalin si sarebbe lasciato prendere da una crisi di sconforto e di depressione al momento dello scatenamento dell’operazione Barbarossa. Tutte le testimoninaze attribuiscono allo statista sovietico un eccezionale autocontrollo: basti pensare alla lungimirante decisione, presa nonostante l’incredulità dei più stretti collaboratori, di celebrare l’anniversario della rivoluzione d’ottobre nella capitale russa assediata e sotto il tiro dell’esercito nazista…

Unknown ha detto...

trduci su articulo al castellano para el portal informativo Rebelion.org
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http://www.rebelion.org/noticia.php?id=80976
espero que les sea util y gracias por el descomunal trabajo que sella todas sus obras