di Fosco Giannini*
*segreteria nazionale PCI
Il compagno Giorgio Langella,
segretario regionale del PCI del Veneto e membro della Direzione Nazionale,
qualche giorno fa ha fatto circolare un intervento del senatore Corsini (
esponente di Articolo Uno-MDP) sulla questione del Venezuela. Riportiamo, per
brevità, le parole con le quali Langella accompagna l’invio dell’intervento del
senatore Corsini: “ Su segnalazione del
compagno Beccegato ho letto l'intervento del senatore Corsini sul Venezuela. Una
cosa indecente, che evidenzia una sudditanza servile oltre che culturale nei
confronti dell'imperialismo statunitense. Qua si confonde "il popolo
venezuelano" con la classe benestante, quelli che hanno perso i privilegi
che avevano perché più ricchi, più simili a noi "civili occidentali".
E una posizione da colonialisti, intollerabile. Forse (anzi sicuramente)
neppure i democristiani di destra ai tempi di Allende ...Con gente come Corsini
non possiamo avere nulla a che fare. Sono da un'altra parte. Penso che la
questione Venezuelana, così come quella Ucraina, quella siriana, quella
palestinese ecc. non possono essere messe da parte o considerate ininfluenti
quando si parla di "alleanze" e si dice che bisogna considerare le
questioni territoriali o italiane. Sono, a mio avviso, questioni dirimenti. Non
si può stare dalla parte dell'imperialismo in politica estera e fare i
progressisti in Italia. Credono di rifarsi una verginità ponendosi dalla parte
del vincitore. Non si pongono problemi, non analizzano le cose, dicono quello
che più conviene loro, vanno dove tira il vento. Oggi è di moda, in questa
"sinistra snob" attaccare chi sta tentando di trasformare il sistema,
chi combatte lo strapotere della "democrazia imperiale", chi non
accetta il "pensiero unico". Questa è un'ambiguità non solo irritante
ma estremamente pericolosa”.
Ma cos’aveva affermato Corsini, in Aula, per suscitare
l’indignata – quanto giusta- reazione
del compagno Langella? Ecco uno stralcio
dell’intervento del senatore “bersaniano” : “ Signor Presidente, è per me del tutto naturale associarmi alle
dichiarazioni del presidente Casini e dei colleghi che mi hanno preceduto,
anche perché in Commissione esteri, tempo fa, abbiamo proposto una risoluzione
che è stata portata all'attenzione dell'Assemblea. In tale risoluzione
denunciavamo il processo autoritario e totalitario che è appunto in corso in
Venezuela....Qual è il dato veramente impressionante? È il fatto che Maduro sta
imponendo, non semplicemente un monopolio d'autorità, che espropria il
Parlamento delle sue legittime funzioni di rappresentante della volontà
popolare, ma che sta, come dire, imponendo un monopolio politico che estromette
gli avversari e i contendenti dall'arena e dalla scena politica. Oltre al fatto
che la storia di questi giorni è costellata di incidenti, di uccisioni, di sparatorie,
di interventi che umiliano la dignità umana e la dignità dei singoli soggetti”.
Dobbiamo anche denunciare un fatto. È in corso, e molti parlamentari ne sono stati vittime, una sorta
di mail bombing da
parte di nostri connazionali, i quali si ostinano caparbiamente a negare la
realtà dei fatti, cioè quella di un Paese martoriato che è sottoposto al
processo di affermazione di una dittatura violenta e totalitaria. È
per queste ragioni che noi oggi vogliamo riconfermare la nostra solidarietà al
popolo venezuelano e trarre appunto auspici perché il Paese possa vedere
rapidamente il ripristino della regola democratica nella sua pienezza”.
Questa di Corsini è una posizione coerentemente e pienamente
controrivoluzionaria, oggettivamente (e soggettivamente) filo imperialista,
completamente e dogmaticamente succube dell’ideologia conservatrice occidentale
e capitalistica. Da questo punto di vista il compagno Langella, con il suo
“j’accuse”, ha svolto con ogni probabilità un compito che è andato ben oltre la
sua stessa denuncia della natura politica contingente dell’Articolo Uno -MDP,
ponendo invece una questione politico-teorica di fondo che in troppi, anche a sinistra,
vanno, a partire anche dalla “questione venezuela”, eludendo : la liceità o
meno della difesa della rivoluzione attraverso la forza. Questione che si era
già posta, ad esempio, con Gorbaciov, nella fase che precedette lo scioglimento
dell’URSS e il conseguente cambio negativo del quadro mondiale: poteva
Gorbaciov far sì che l’Armata Rossa salvasse l’unità sovietica? Si,
teoricamente avrebbe potuto, ma non l’ha potuto fare in virtù di una, propria,
degenerazione ideologica, di tipo liberale.
Che la rivoluzione possa difendersi o meno con la forza dalla
consueta – rispetto ai moti rivoluzionari - reazione violenta dell’imperialismo
(in America Latina quasi sempre USA) delle destre, del capitalismo e delle
forze militari, è forse la questione centrale, quella dirimente, che separa –
nel giudizio, nello schierarsi – le forze rivoluzionarie da quelle
controrivoluzionarie o della sinistra moderata, quelle “interne” al sistema
capitalistico. E’il problema dei problemi: quello del potere. Ed è bene – una
volta tanto – affrontare la “questione venezuelana” dal punto di vista anche
teorico, politico-teorico. E’bene – una volta tanto - approfittare del contingente per riaprire una riflessione profonda
e di nuovo appropriarci della grandezza del nostro pensiero, del pensiero e
della prassi della rivoluzione. Anche per sfuggire ai meschini, vischiosi ed intellettualmente mortificanti “pensierini”
sul contingente.
La posizione assunta dal senatore Corsini non è, purtroppo,
appartenente solo all’Articolo Uno-MPD: oltreché, naturalmente, la destra, in
verità è quasi tutta la sinistra
italiana ( persino una parte comunista di essa) che oggi sposa le posizioni del
senatore “bersaniano”. Tanto per dire:
persino “il quotidiano comunista” il
Manifesto ( tranne la compagna Geraldina Colotti ) fa molta fatica a
schierarsi completamente con Maduro, fa molta fatica ( e forse non ci arriva
mai) a definire legittimo l’uso della forza per la difesa della rivoluzione
chavista.
A questi tentennamenti, a queste posizioni di fatto utili e
funzionali alla controrivoluzione dà una risposta di altissimo valore politico
e teorico Domenico Losurdo, nel suo ultimo libro sul “Marxismo Occidentale”, marxismo uccisosi – secondo l’Autore – anche a
partire dalla rinuncia alla presa del potere e alla sua difesa.
“L’illegittimità” della difesa della rivoluzione anche con la
forza è una categoria pseudo filosofica che ha segnato e segna di sé ogni
involuzione moderata del pensiero comunista e della sinistra occidentale;
un’involuzione che è speculare alla rinuncia della trasformazione
rivoluzionaria e della presa del potere: questo è il punto centrale della
discussione che il compagno Langella ha aperto.
Non è un caso, infatti, che il Partito Comunista Italiano, in
quella sua lunga storia involutiva che l’ha portato dall’accettazione della
NATO alla “Bolognina”, passando attraverso la rottura col movimento comunista
mondiale e l’abbandono del leninismo, abbia scandito questo stesso, proprio,
processo involutivo con vere e proprie ricusazioni dei punti storici alti delle
rotture rivoluzionarie: il PCI che volgeva verso la “Bolognina” iniziò – ben
prima di essa – a rompere teoricamente
con il Terrore di Robespierre, poi con la Comune di Parigi, poi con la stessa
Rivoluzione d’Ottobre, per non parlare dell’accusa dogmatica e pregiudiziale ad
ogni difesa del socialismo con la forza, posizione che cresceva
contemporaneamente – o che seguiva – alla scelta del passaggio al socialismo solamente attraverso la via
parlamentare.
Quando Pietro Secchia, già da tempo in disgrazia nel PCI,
andò in Cile nel gennaio del 1972 a sostenere il governo Allende e a Santiago,
di fronte ad una piazza strapiena di popolo, chiese con forza, in un suo
comizio, ai comunisti, ai socialisti cileni, allo stesso governo Allende e alle
“forze patriottiche e popolari” di prepararsi
a fronteggiare con le armi l’inevitabile reazione degli USA, della
destra cilena e di Pinochet alla rivoluzione, il PCI rispose con uno sdegnato
silenzio alle parole di Secchia, che poi, per le sue stesse parole, fu
avvelenato dalla CIA nell’aereo che lo riportava in Italia, dove morì pochi
mesi dopo.
L’abbandono dell’orizzonte rivoluzionario, la rinuncia alla
difesa della rivoluzione con la forza ha sempre caratterizzato le forze già
rivoluzionarie che imboccavano una discesa moderata. E’stato così per la
Socialdemocrazia tedesca della fine del 1800, quando essa, rompendo
platealmente, teoricamente, con la Comune di Parigi, iniziò a trasformarsi in
quella Socialdemocrazia che avremmo conosciuto, nella sua essenza di soggetto
politico del sistema capitalistico, dal ‘900 ad oggi.
Ma anche nel Partito della Rifondazione Comunista, nella
lunga monarchia bertinottiana, l’abbandono delle categorie marxiste e leniniste
della rottura rivoluzionaria e dell’antimperialismo conseguente (che non può
non sfociare negli atti rivoluzionari della rottura di sistema e della difesa
con la forza del nuovo sistema socialista) sono stati i cavalli di Troia per
l’abbandono, da parte del PRC bertinottizzato, della cultura comunista,
materialista. Chi non ricorda il Bertinotti che
giudica e liquida, attraverso una sua indegna ( sul piano storico e
teorico) commemorazione, a Livorno, nei primi anni ’90, dell’Ottobre e del
“socialismo realizzato”, la lotta dei bolscevichi contro la guardia bianca e
zarista come “anticipazione della degenerazione dello stalinismo”? Chi non
ricorda il Bertinotti della “Resistenza angelicata”, un’accusa alla “violenza
della Resistenza”, che si innalzava - assieme a quelle della destra, di Gianpaolo
Pansae dell’intero revisionismo di sinistra – proprio nel momento in cui la
lotta armata e antifascista dei partigiani iniziava ad essere largamente
demonizzata? Chi non ricorda il Bertinotti che negava – in un rigurgito pieno
di filo occidentalismo – il carattere di Resistenza alla lotta del popolo
iracheno contro gli invasori nord americani? E chi non ricorda l’ex segretario
del PRC imperversare sui giornali, sulle televisioni, a favore della sua nuova
idea della “non violenza”, ideuzza piccolo borghese che – consapevole o no
Bertinotti – apriva le cateratte dell’abbandono della cultura comunista e
rivoluzionaria per tutto il “nuovo” PRC?
In seguito alla vera e propria devastazione politica e
teorica prodotta dalla lunga involuzione del PCI e poi dal bertinottismo, siamo
in minoranza, oggi, a riconoscere la liceità storica della difesa del potere
rivoluzionario anche con la forza; siamo una minoranza, dunque, a riconoscere
il valore rivoluzionario della lotta, della Resistenza di Maduro contro la
violenza dell’asse USA - destra capitalista venezuelana.
Ma la legittimità, politica ed etica, della difesa con la
forza della rivoluzione è un cardine stesso di tutto il pensiero e della prassi
della rivoluzione.
E qui, veniamo a Lenin, all’esigenza assoluta di rimettere in
circolo e far rientrare, almeno nel senso comune dei comunisti e delle
comuniste e di chi milita “a sinistra”, le categorie centrali del pensiero
rivoluzionario.
Riappropriamoci del quanto mai attuale saggio di Lenin “ La rivoluzione proletaria e il rinnegato
Kautsky”.
Kautsky pubblica nell’agosto del 1918, sulla rivista “
Sozialistische Auslandpolitik”, proprio durante la ripresa violenta della lotta
controrivoluzionaria che puntava a sconfiggere l’Ottobre, un saggio dal titolo
esplicito, che già in sé preannunciava la svolta antirivoluzionaria di Kautski:
“ Demokratie oder Diktatur “ ( Democrazia o Dittatura). Kautski, in pieno
revisionismo controrivoluzionario, anticipa di diversi decenni le posizioni di
quei comunisti e dirigenti e intellettuali della sinistra occidentale che, a
partire dalla condanna della difesa rivoluzionaria del potere rivoluzionario,
rinunciano di fatto alla stesso progetto della trasformazione socialista.
Kautsky è esplicito sin da titolo del suo articolo: la “Democrazia” è in
antitesi alla “Dittatura”, un giudizio apodittico attraverso il quale si rompe
con Marx, con l’Ottobre , con Lenin per giungere alla divinizzazione della
democrazia borghese come ultima spiaggia della democrazia della storia e alla
conseguente demonizzazione del potere rivoluzionario, la Dittatura, che Kautsky
intende non come il potere della grande classe lavoratrice e sfruttata sulla
ristretta classe dei padroni e degli sfruttatori, ma in senso metafisico, come
oppressione in sé, così come la borghesia ha giudicato essere, per ovvie
ragioni, il potere proletario. Oggi è Maduro che difende il potere del popolo e
gli USA, la destra venezuelana pagata da Washington, le destre di ogni parte
del mondo e le sinistre pavide del mondo definiscono il potere rivoluzionario
chavista “la dittatura”. E così, attraverso questa feroce mistificazione
politico-semantica, i media dell’intero mondo occidentale fanno passare Maduro
come un dittatore, in modo che tutti dimentichino che il vero problema, per il
capitalismo occidentale e per l’imperialismo USA, è quello legato al fatto che
il petrolio, l’oro, i diamanti, le terre, le ricchezza naturali venezuelane
sono state da Chavez sottratte ai pochi padroni per riconsegnarle al popolo;
far dimenticare che il vero problema per gli USA è di tipo prettamente
geopolitico, nella misura in cui il Venezuela si libera dal potere imperialista
offrendosi come punto di riferimento per i popoli e gli Stati che in America
Latina vogliono sottrarsi alla dittatura economia, politica e militare
imperialista nel momento in cui il
Venezuela chavista rafforza il blocco che, a partire dai BRICS , si erge
nel mondo come diga antimperialista.
Come risponde Lenin all’attacco controrivoluzionario di
Kautsky? Dobbiamo rileggerlo, riassumerlo, anche questo Lenin, poichè solleva
un punto centrale di tutto il pensiero rivoluzionario.
Lenin risponde all’articolo/saggetto di Kautsky con un
proprio saggio: “ La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”. Dopo aver
letto nella Pravda qualche estratto del saggio di Kautsky, Lenin, infuriato,
scrivendo a Berzin, Joffe e Vorovski afferma: “ Le vergognose sciocchezze, il balbettio infantile e il vilissimo
opportunismo di Kautsky inducono a domandarsi: perché non facciamo niente
contro lo svilimento teorico del marxismo da parte di Kautsky? ”. Ma Lenin
non perderà tempo e nel suo saggio di risposta ridicolizzerà Kautsky. Almeno
per tutti i compagni e le compagne: è ora – ora – di rileggerlo.
Rispetto al potere rivoluzionario e la sua difesa, Lenin
scriverà sul “Rinnegato Kautsky”: “ Si può dire senza esagerazione che questo è
il problema centrale di tutta la lotta di classe. Ed è quindi necessario
esaminarlo attentamente”. Lenin lo farà e in relazione al distinguo che Kautsky
introduce tra “democrazia e dittatura”, il capo dell’Ottobre scriverà: “ Si
tratta di una confusione teorica così mostruosa, di un’abiura così completa del
marxismo che, bisogna ammetterlo, Kautsky supera di gran lunga Bernstein”. “ Il nostro ciarlone – continua Lenin – ha
riempito quasi un terzo del suo opuscolo, 20 pagine su 63, con una
chiacchierata assai gradevole per la borghesia, perché equivale al tentativo di
abbellire la democrazia borghese e di velare la questione della rivoluzione
proletaria”. E ancora, scrive Lenin: “Del marxismo si ammette tutto, tranne i
mezzi rivoluzionari di lotta…”. E in un passaggio incredibilmente contemporaneo
e attuale, che davvero sembra parlare del ruolo che il Venezuela chavista già
svolge e può ancor più svolgere nella lotta antimperialista mondiale (ed è
soprattutto per questo che gli USA scatenano le iene reazionarie venezuelane
contro Maduro) così scrive Leni, in relazione alla distinzione operata da
Kautsky su “ rivolgimento pacifico” e rivolgimento violento”: “ Sta qui il nodo
della questione. Tutti sotterfugi, i sofismi, le falsificazioni truffaldine
servono a Kautsky per scansare la
rivoluzione violenta, per nascondere il fatto che egli la rinnega ed è passato
alla politica operaia liberale, cioè dalla parte della borghesia. Lo “storico”
Kautsky travisa così spudoratamente la storia che finisce per “dimenticare”
l’essenziale, cioè che il capitalismo premonopolistico – il quale aveva toccato
l’apogeo negli anni ’70 – si distingueva, in virtù dei suoi tratti economici,
manifestatisi in modo particolarmente tipico in Inghilterra e in America, per
un amore relativamente più grande della pace e della libertà. Mentre
l’imperialismo, cioè il capitalismo monopolistico giunto a definitiva maturità
solamente nel secolo XX, si distingue, in virtù dei suoi tratti economici essenziali,
per un amore assai meno forte della pace, della libertà, per un maggiore e
generalizzato sviluppo del militarismo. Non avvedersi di questo, quando si
esamina fino a qual punto sia tipico o probabile un rivolgimento pacifico o
violento, significa degradarsi al livello del più volgare lacchè della
borghesia”.
E’ la questione dell’imperialismo, della sua ferocia
economica e militare che non prevede la possibilità che popoli e Stati ad esso
già sottomessi possano liberarsi ( come, appunto, il Venezuela di oggi) quella
che pone Lenin e che certo non può essere più presente nel pensiero
addomesticato del senatore Corsini. E di troppi altri, anche a sinistra.
Quando Chavez iniziò a vincere, sul quotidiano
ampiamente bertinottizzato “Liberazione”
non andava giù il fatto che quel leader rivoluzionario era un militare: un
altro di quei tanti “pregiudizi” del marxismo occidentale esausto che portano,
infine, alla rinuncia della lotta rivoluzionaria. Oggi, in troppi, anche a
sinistra, persino tra i comunisti ( ma non nel nostro PCI) si insinua un tarlo
devastante e borghese: Maduro non dovrebbe difendere la rivoluzione chavista
con la forza. Dovrebbe consegnare il Venezuela a Trump e alla destra
venezuelana, invece? Lenin consigliava e continua a dirci di no, per non essere
dei rinnegati.
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