Marxismo e internazionalismo alla luce di un viaggio in Cina di Domenico Losurdo
Dal 20 aprile al 7 maggio sono stato in Cina (Pechino, Shanghai, Wuhan) per un giro di conferenze e di lezioni. I miei lettori conoscono il giudizio da me più volte espresso, e confermato anche nel libro appena pubblicato (Un mondo senza guerre. L’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci), relativamente alla Repubblica popolare cinese, non a caso protagonista della più grande rivoluzione anticoloniale della storia e che ora, grazie al suo straordinario sviluppo economico e tecnologico, sempre sotto la direzione del Partito comunista sta mettendo radicalmente in discussione la divisione internazionale del lavoro cara all’imperialismo e l’egemonia imperialista in quanto tale.
Dal 20 aprile al 7 maggio sono stato in Cina (Pechino, Shanghai, Wuhan) per un giro di conferenze e di lezioni. I miei lettori conoscono il giudizio da me più volte espresso, e confermato anche nel libro appena pubblicato (Un mondo senza guerre. L’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci), relativamente alla Repubblica popolare cinese, non a caso protagonista della più grande rivoluzione anticoloniale della storia e che ora, grazie al suo straordinario sviluppo economico e tecnologico, sempre sotto la direzione del Partito comunista sta mettendo radicalmente in discussione la divisione internazionale del lavoro cara all’imperialismo e l’egemonia imperialista in quanto tale.
Partendo dal fatto che le Conferenze
internazionali alle quali ho partecipato avevano per oggetto Marx,
voglio richiamare l’attenzione su una circostanza generalmente
trascurata. La Cina sta conoscendo uno straordinario sviluppo anche sul
piano culturale e sta diventando il centro degli studi marxologici a
livello internazionale: grandi iniziative si preparano sia per il
centenario della rivoluzione d’ottobre (2017), sia per il bicentenario
della nascita di Marx (2018), si infittiscono le traduzioni in generale e
dei testi marxisti e di orientamento marxista in particolare (in questo
contesto vanno collocati la traduzione già avvenuta di due miei libri e
l’annuncio della traduzione di altri).
Non stupisce allora una circostanza
ancora più interessante, in ogni caso per i comunisti. Pechino sta
assumendo un ruolo sempre più chiaramente internazionalista: la prima
Conferenza internazionale alla quale ho partecipato, e che anzi ho avuto
l’onore di aprire, si è svolta il 22 e 23 Aprile presso la Renmin
University ed è stata organizzata in particolare da Roland Boer, docente
di quella prestigiosa università (fra le più quotate nel mondo) ed
esponente di primo piano del Partito Comunista Australiano. Lo conoscevo
di nome anche in quanto autore di una lunga e simpatetica rassegna da
lui dedicata al mio libro su Stalin (si può ben comprendere che
l’incontro di persona sia stato subito amichevole e caloroso). In
occasione invece della Conferenza internazionale organizzata il 5 maggio
dall’Accademia cinese delle scienze sociali ho incontrato e conosciuto
Wadi’h Halabi, membro del gruppo dirigente del Partito Comunista degli
USA (e chiaramente di origine palestinese).
E proprio in occasione di tale
Conferenza si è verificato l’evento più significativo sul piano
internazionalista. Ad aprirla è stato Cheng Enfu, con un impegnativo
discorso che traccia un bilancio della storia del movimento comunista
internazionale e delinea le prospettive del futuro. È un testo che vale
la pena di leggere (ringrazio il compagno Cheng Enfu per avere
autorizzato questa pubblicazione). Richiamo l’attenzione su alcuni punti
essenziali:
- Non è certo una novità, ma dà comunque da pensare la forza con cui il partito di governo, il partito comunista, si definisce marxista-leninista e dichiara di voler seguire un orientamento socialista, nell’ambito del quale il settore statale e pubblico dell’economia continuerà a svolgere una funzione essenziale e decisiva.
- Si comprende allora la condanna senza appello di Gorbacev che, promuovendo di fatto la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha provocato una catastrofe mondiale, la cui gravità risulta tanto più evidente quanto più si accentuano i pericoli di guerra.
- Nuovo invece, e di grandissimo interesse, è l’accento posto sulla necessità di riannodare le file del movimento comunista internazionale, chiudendo una volta per sempre il capitolo delle polemiche astiose che in passato hanno contrapposto in particolare i partiti comunisti dell’Unione Sovietica e della Repubblica Popolare Cinese (un «nonsenso» devastante di cui, come aveva già riconosciuto Deng Xiaoping, entrambi i partiti sono stati responsabili), e aprendo invece una fase nuova all’insegna del rispetto reciproco tra i partiti impegnati nel dialogo.
- Altrettanto nuovo e di enorme interesse è l’accenno al fatto che il PCC si appresta a impegnarsi in modo attivo anche su questo terreno: «A partire dalla politica di riforma il PCC ha trattato i partiti comunisti degli altri paesi e i forum internazionali [di orientamento comunista] con un profilo decisamente basso». Sperava forse di attenuare la politica di ostilità e accerchiamento condotta dall’imperialismo statunitense e dai suoi alleati e vassalli. Sennonché: «Stati Uniti, Europa e Giappone hanno per questo messo fine all’assedio militare e alle provocazioni ai confini della Cina o hanno invece intensificato le loro azioni?». Occorre prendere atto che «gli Stati Uniti sono la forza principale che ostacola lo sviluppo e la pace mondiale e che accerchia la Cina». La lotta per la pace, oggi più che mai necessaria, impone di riannodare le file del movimento comunista internazionale e di sviluppare il più possibile il fronte di lotta contro la guerra e i pericoli di guerra.
Cheng Enfu è una personalità importante
anche sul piano. È direttore fra l’altro di «International Critical
Thought», la rivista cinese in lingua inglese (alla quale io stesso
collaboro) che può essere considerata espressione della politica sopra
descritta.
Nel proporre il testo di Cheng Enfu
all’attenzione dei lettori, da parte mia mi limito a una brevissima
considerazione: non è solo in Italia che l’unità dei comunisti è
all’ordine del giorno; è una problema di carattere internazionale che
esige l’immediato superamento di meschinità provinciali o, peggio,
personali.
Nessun commento:
Posta un commento